La verità è che Achille Lauro è semplicemente noioso
Se il rap ci ha insegnato qualcosa è che risulta impossibile fermare l’ascesa di qualcuno privo di dignità. È una delle caratteristiche che più amo del genere. Gli artisti che hanno più successo, sono anche quelli che meno temono di sembrare strani o ridicoli. Ricordo quanto fu brutale la reazione della gente quando Cam’Ron, nel 2002, nella fase più da mascolinità tossica del rap - per usare un termine che immediatamente mi ha tagliato in capelli con un undercut - cominciò a vestirsi in total look rosa. Cam’Ron era un coglione, era senza credibilità, era gay. Ma il totale disinteresse verso quello che “bisogna fare” - sia nella musica, che nella moda - ha poi permesso a lui e ai Dipset di marchiare la storia del rap. E ancora oggi pelliccia, telefonino e fascia per capelli rosa indossati dal rapper newyorkese sono iconici.
La stessa cosa l’abbiamo vista avvenire anni dopo con gli artisti crunk di Atlanta e del sud degli Stati Uniti e più avanti ancora, quando Future ha cominciato a trappare e lo spagnolo è entrato con il reggaeton. E si sta ripetendo oggi mentre il genere si dirige verso il drill inglese o addirittura il pop-punk.
È una delle qualità più belle del rap, come dicevo.
Anche in Italia abbiamo potuto osservare il medesimo fenomeno. Negli anni ’90, quando il genere da noi era creato e ascoltato dalla versione con felpe Ecko e jeans XXXL degli ebrei ortodossi, a nessuno fregava un cazzo del rap. La situazione si è sbloccata solo a metà anni zero, quando i primi artisti che hanno cominciato a fottersene della propria dignità sono arrivati sulla scena. Gente come Fibra che rilascia Mr. Simpatia o i Club Dogo che hanno la giusta intuizione di fondere un flow di livello americano con le malattie veneree, diventano molto famosi e popolari, anche se mai tua-madre-sa-chi-sono-famosi-e-popolari.
Quello è accaduto solo con la generazione successiva. La prima che si è spogliata interamente della dignità. Andando oltre a qualsiasi livello mai registrato prima dall’uomo.
Oggi, infatti, un buon modo per capire chi raggiungerà il successo mainstream nel rap italiano, quello dei pezzi che escono dai parrucchieri uomo-donna e dai Huawei con Spotify crakkato, è farsi questa domanda: quanto è probabile che l’artista X venga ritrovato senza vita in carcere mentre sconta una pena in regime di semilibertà per aver commesso un crimine non violento?
E il successo è inversamente proporzionale al numero di mesi necessario per aspettare l’inevitabile dipartita.
E, certo, ci sono notabili eccezioni che confermano questa regola, perché questo è un test che non ha mai sbagliato. Sfera Ebbasta, Ghali, i membri della Dark Polo Gang sono tutte persone che puoi facilmente vedere perire per delle emorragie interne entro 2/3 mesi dal loro ingresso in un carcere di medio-bassa sicurezza.
Taxi B e gli FSK probabilmente qualche settimana, vergati da puntuti spazzolini retti da uomini che non apprezzerebbero sentire giovani borghesi lucani più bianchi di un concerto di Einaudi chiamarsi a vicenda - e senza alcuna traccia di ironia - “negro”.
Achille Lauro morirebbe durante il trasporto in bus.
È importante capire che non mi sto riferendo alla “virilità” delle persone citate, ma alla loro capacità di esistere in un ambiente in cui le sovrastrutture non hanno alcun valore.
E Achille Lauro è nulla senza la sua. Per gran parte della sua carriera non è stato un rapper, ma un sunto umano della pagina Wikipedia sul “RAP”. Quindi la sua immagine era quella del più cliché dei “gangsta” di borgata. Uno che sposta i “chili” di droga, uno che ti spara in faccia, uno che però viene beccato a far passare immagini stock di Getty Images di mazzette di soldi su Facebook per sue. Uno che ha come padre un magistrato della Corte di Cassazione, un nonno prefetto e un procuratore come zio.
“La tua donna su instagram, le sue zinne su facebook,” rappava nel 2014 in No Twitter l’abbattitore della mascolinità tossica delle tipe woke del 2021, “Per avere il coraggio di farti quel cesso / Devi essere proprio un bel pazzo / Minimo la sorpresa che ti tira fuori / È che ti tira fuori un bel cazzo”
Ma ora Achille Lauro è diverso. Non scrive più di troie e droga.
Dopo aver partecipato a programmi come “Pechino Express” ha conosciuto un mondo in cui puoi interessarti alla moda anche se sei un uomo, in cui puoi scopare chi vuoi come vuoi, in cui puoi trasformare Tumblr nella tua personalità o, per dirla più brevemente, “Milano”.
E ora è un uomo nuovo. Migliore. Più sensibile. Ha fatto terapia comportamentale e ha risolto i problemi con sua madre. Adesso, quando vede un mazzo di fiori venire regalato a una donna, non ha paura di gettare il suo corpo per fermare fisicamente il vile gesto, mentre una singola lacrima rossa disegna sul suo viso la frase “NO STEREOTIPI DI GENERE”.
Perché Achille Lauro non è più un rapper. Non è nemmeno un cantante. A leggere i tristi giornalisti musicali italiani è un simbolo, addirittura un motore di cambiamento. Durante Sanremo 2020 ha curato da solo la tossicità del maschio italiano, a Sanremo 2021 ha sbriciolato i pregiudizi sull’identità di genere e a Sanremo 2022 prevedo che risolverà il gap fra i salari uomo-donna.
Sembra una stronzata, ma centinaia di migliaia di persone in Italia sono seriamente convinte di tutto questo.
E sono le stesse che usano “appropriazione culturale” come intercalare e sono - giustamente - attente a richiamare chi usa in TV la “blackface” ma che, guarda un po’, ignorano un semplice fatto: Achille Lauro è un uomo cisgender ed eteronormativo che performa un cosplay dell’estetica e della cultura queer.
Un uomo che viene incensato e celebrato dai normie del mainstream al posto di artisti queer relegati a vivere nelle nicchie della musica italiana.
Il fatto che in Italia artisti come Marco Mengoni e Roberto Bolle debbano impiegare il 95% del loro tempo a convincerci che a loro non piaccia il cazzo, mentre Lauro e Boss Doms si baciano 5 secondi fra le lacrime e gli applausi di stan che urlano RIVOLUZIONE CULTURALE - ben sapendo che uno sta con la sua fidanzata storica da anni e l’altro ha figliato con una modella - non smetterà mai di farmi ridere.
Ma i boomer si scandalizzano, signora mia ci ricorda la stampa.
Le uniche persone “scandalizzate” da Achille Lauro sono gli editorialisti di Libero o La Verità - ed è troppo facile. Parliamo di gente che ce l’ha con chiunque sia stato in vacanza una volta in Marocco. Sono sorpresi e scioccati anche dagli immigrati che usano gli smartphone o da una donna che raggiunge un orgasmo senza pagare.
I boomer sono cresciuti con gruppi come i New York Dolls, Prince, Adam Ant e molti altri - tutta gente che faceva gender bending 40/50 anni fa e che fanno sembrare Achille Lauro con le sue tutine Bobo Vieri che mette i dischi al Papeete Beach.
Di certo il cantante di origini pugliesi non è il primo artista “costruito” o mediocre. Achille Lauro non sa scrivere qualcosa di arguto, emozionante o poetico, quello che fa è un namedropping di persone e situazioni che evocano qualcosa che non sarà mai capace di essere.
I suoi testi mi ricordano le descrizioni dei piatti che fanno i camerieri dei ristoranti stellati, solo che con Achille Lauro non arriva mai nulla da mangiare.
No, la sua vera colpa è quella di essere semplicemente noioso. E allo stesso tempo inspiegabilmente osannato come simbolo controcorrente all’interno di un sistema che si regge sul conformismo middlebrow di gente come lui. La funzione di Achille Lauro è quella di essere il Platinette della musica italiana.
Ma Achille Lauro ha coraggio, ci ricorda Rolling Stone. Hanno ragione. Achille Lauro ci insegna che non importa se solo il direttore creativo del più importante brand di moda del mondo vuole personalmente vestirti e curarti l’immagine, se stringi i denti e continui a credere in te stesso, lo show televisivo più seguito d’Italia ti darà 5 serate e 25mila euro a sera per fare e dire quello che vuoi senza alcun tipo di censura.
Solo le persone più scomode e rivoluzionarie d’Italia hanno subito trattamenti simili.
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